Il Tar del Lazio ha fatto luce sulla vicenda restituendo il porto d’armi all’uomo coinvolto.
In origine l’arma era dello zio, ma dopo qualche anno il nipote l’aveva regolarmente denunciata a proprio nome. Evidentemente senza che l’altro lo sapesse o se ne ricordasse nel momento in cui ha deciso di farla rottamare dalle forze dell’ordine e l’ha consegnata affermando di non trovare la denuncia. Il nipote, subito accusato di omessa custodia, aveva subito la revoca del porto d’armi, annullata però dal Tar del Lazio che glielo ha restituito.
Una vicenda labirintica
La storia comincia nel 1994, quando il nipote denuncia l’arma da allora in suo possesso, e prosegue nel 2006, nel momento in cui lo zio contatta il commissariato. Nei confronti del nipote parte subito un procedimento penale, archiviato dopo poco perché “lo zio aveva sottratto un fucile dall’abitazione [del nipote], di cui aveva le chiavi”. Il Tar si pone sulla medesima linea interpretativa: l’unico episodio di eventuale omessa custodia “riguarda il prelievo di un fucile, regolarmente denunciato dal ricorrente e sempre regolarmente custodito, dalla sua abitazione, non da parte di un qualsiasi soggetto, bensì da un suo zio, in possesso delle chiavi di casa e che perciò vi aveva libero accesso”.
Inoltre non c’è stata conseguenza per la pubblica incolumità; e anzi lo zio “che aveva messo il fucile insieme ad altre armi da lui regolarmente detenute, intendeva rottamarle”. È in quell’occasione che si è scoperto che l’arma era stata sottratta. Se non bastasse, mancano gli elementi sufficienti a dimostrare la scarsa affidabilità dell’uomo coinvolto suo malgrado: “è in possesso di porto di fucile da oltre quarant’anni senza che mai sia stata fatta una minima contestazione sulle modalità di uso e custodia delle armi possedute”.