Lo ha stabilito il Tar della Lombardia respingendo il ricorso di un cittadino bergamasco.
Non è rilevante neppure indagare sull’origine concreta dei problemi: “anche nel caso in cui la responsabilità del conflitto non sia imputabile direttamente al titolare della licenza di polizia e anzi questi sia da ritenere, piuttosto che autore, una vittima dello stesso”, in caso di una separazione coniugale non pacifica il porto d’armi può essere revocato. E “nemmeno il successivo [eventuale] ritiro di denunce in precedenza effettuate potrebbe eliminare la rilevanza delle situazioni conflittuali prese in considerazione agli effetti dell’adozione del divieto”. Lo ha ribadito il Tar della Lombardia respingendo il ricorso di un cittadino bergamasco il cui nome è coperto dagli omissis di rito per impedirne l’identificazione e al quale ormai due anni fa era stata ritirata la licenza di porto d’armi sportivo.
Tutto nasce dalle querele “per violenze e minacce, anche nei confronti dei figli”, presentate da parte della moglie nel corso di procedimento di separazione. La situazione di elevata conflittualità coniugale mette in contrapposizione due valori: da un lato la facoltà, “certamente non qualificabile come diritto fondamentale, di possedere un’arma”, dall’altra “il diritto, certamente fondamentale, al rispetto dell’integrità fisica delle persone e alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici”. E il secondo prende sempre il sopravvento.