Il Consiglio di Stato ha pronunciato l’ultima parola sull’automatismo nel rinnovo del porto d’armi dopo numerose licenze. Aumentando i poteri discrezionali del prefetto e degli organi periferici del Ministero dell’Interno. E considerando ininfluente l’appartenenza a determinate categorie della società civile
Il rinnovo del porto d’armi non è scontato anche dopo ripetuti rilasci. E si aumenta il potere discrezionale degli organi periferici nella valutazione delle richieste. Lo stabilisce la sentenza 5267/2016 del Consiglio di Stato pubblicata alla fine dell’anno solare. Chiudendo di fatto una querelle che va avanti da più di dieci anni.
Il primo diniego alla richiesta di rinnovo del porto d’armi
L’organo supremo della giustizia amministrativa è stata chiamato a esprimersi sul ricorso del Ministero dell’Interno e della prefettura di Teramo. Oggetto della controversia, la sentenza del Tar dell’Abruzzo che nel 2009 ne aveva annullato un provvedimento datato 2006. La prefettura aveva infatti negato a un cittadino, il cui nome è coperto dagli omissis di rito, il rinnovo di licenza di porto di pistola per difesa personale.
L’uomo, consigliere di amministrazione di una società, era portato a maneggiare una consistente quantità di titoli e denaro. E pertanto per quindici anni aveva richiesto e ottenuto il porto d’armi per difesa personale. Nel 2006 per la prima volta il prefetto aveva respinto l’istanza, rilevando che non ne sussistesse “il dimostrato bisogno”. Gli organi periferici del Ministero dell’Interno si basarono sull’articolo 42 del testo unico di pubblica sicurezza. E spinsero l’interessato a ricorrere al Tar. Con un primo esito favorevole. Nel 2010 il Tribunale amministrativo de L’Aquila ritenne il provvedimento “non adeguatamente motivato”. E soprattutto “contraddittorio rispetto ai precedenti di rilascio e rinnovo del porto d’armi”. Nei fatti, non era cambiato alcunché del contesto. Se non la decisione dell’autorità. Almeno questa era la posizione del Tribunale amministrativo.
Divieti, eccezioni e poteri discrezionali nella concessione del rinnovo del porto d’armi
Il controappello delle istituzioni al Consiglio di Stato ha portato al ribaltamento della sentenza di primo grado. La nuova decisione concede infatti ampio spazio “ai provvedimenti discrezionali”. Si fa riferimento in particolare alla nota decisione della Corte Costituzionale datata 1993, che spesso viene citata in queste circostanze. Poco più di 23 anni fa la Consulta stabilì che “le licenze per porto d’armi costituiscono una deroga” rispetto al divieto generale. E pertanto “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto”, ma rappresenta eccezione “al normale divieto di portare le armi”.
Secondo il Consiglio di Stato, i poteri discrezionali del prefetto si estendono anche nella prevenzione. “Il prefetto”, si legge, “può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il dimostrato bisogno di porto d’armi per difesa personale”.
Le valutazioni di merito possono tenere dunque conto del particolare momento storico e della peculiarità delle situazioni locali. Oltre ovviamente “alle specifiche considerazioni in rapporto all’ordine e alla sicurezza pubblica”.
Possibile restrizione preventiva dei criteri per il rinnovo del porto d’armi
Affidabilità del richiedente e opportunità di rilasciare le licenze. Sono pertanto due gli aspetti che la prefettura può considerare quando opera le proprie valutazioni. È significativo un passaggio teorico che chiarisce la posizione della giustizia al di là della situazione specifica. Il Consiglio di Stato ribadisce infatti che “gli organi del Ministero dell’Interno possono anche decidere di restringere la diffusione e l’uso delle armi”. E in tal caso l’amministrazione può predisporre criteri rigorosi per esaminare le richieste degli interessati tenendo conto delle esigenze di ordine pubblico.
E nel diniego del rinnovo non esiste contraddittorietà rispetto alle decisioni precedenti. Ogni volta che esamina un’istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula “un’attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti”. Soggetta a possibili modifiche anno dopo anno. Perché possono cambiare le esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico.
La categoria sociale non conta
L’appartenenza a una categoria non rappresenta condizione sufficiente per concedere il rilascio o il rinnovo del porto d’armi. Solo chi fa parte delle forze dell’ordine trova nel proprio ruolo la giustificazione automatica della licenza. E solo per le armi in dotazione. Per il resto la categoria sociale non ha rilevanza. Che si tratti di “imprenditori, commercianti, avvocati, notai, operatori del settore assicurativo o bancario”. In generale, far parte di un gruppo sociale “non ha in sé uno specifico rilievo”. E pertanto il potere discrezionale del prefetto non può essere messo in discussione dalla giustizia. Spetta solo all’Interno e alle sue articolazioni ogni valutazione di merito sulle licenze, di per sé insindacabile dal giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato pone un solo paletto: trattare allo stesso modo chi si trova nella medesima situazione. Per il resto, non conta quanto denaro si movimenti. O quantomeno non lo si considera un motivo fondamentale per concedere il rinnovo del porto d’armi. Anche perché “esiste la possibilità di avvalersi dei più moderni sistemi di pagamento”.