L’articolo 43 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza esclude che sia concesso il porto d’armi a chi sia stato condannato per alcuni specifici reati. Niente importa la riabilitazione.
A volte il passato sembra non andarsene mai. A distanza di 41 anni pesano ancora i quattro mesi di reclusione comminati nel 1976 a un cittadino di Carbonia per resistenza a pubblico ufficiale: nonostante la riabilitazione, l’articolo 43 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e le circolari interpretative fanno calare la mannaia sul rinnovo del porto d’armi venatorio. Pochi minuti fa il Tar della Sardegna ha quindi confermato la decisione del prefetto, notando come la resistenza all’autorità sia esplicitamente prevista dalla legge nel paragrafo in cui delinea il perimetro dei reati ostativi: “la riabilitazione consente di rilasciare al riabilitato le autorizzazioni di polizia in generale, mentre non consente di rilasciargli la licenza di porto d’armi”. Il Tar riconosce che l’intreccio si sta dipanando solo negli ultimi tempi e chiama in causa la “non assoluta univocità degli orientamenti sulla questione controversa”, ma riconosce che ormai la strada è segnata: in presenza di alcuni reati, non c’è riabilitazione che tenga.
La legge
“Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o a un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
(articolo 337 del codice penale)