Repubblica lancia l’allarme sulla diffusione crescente delle ghost gun, ossia delle armi costruite assemblando pezzi prodotti con le stampanti 3D, in Italia.
Ci sta che sulla percezione un po’ incida l’omicidio di Brian Thompson, che si ritiene Luigi Mangione possa aver ucciso con una di queste; ma non si deve sottovalutare l’allarme lanciato da Repubblica (ne scrive Dario Del Porto nella cronaca di Napoli, rilanciata sull’edizione nazionale) sulla diffusione delle cosiddette ghost gun in Italia.
Si tratta di armi che si costruiscono illegalmente assemblando pezzi prodotti con le stampanti 3D. Del Porto segnala già due casi registrati negli ultimi mesi: c’era una ghost gun nell’appartamento di un ventenne perquisito nel corso di un’indagine sui gruppi neonazisti e suprematisti bianchi; e, scrive Del Porto, qualche giorno fa il giudice dell’udienza preliminare «ha rinviato a giudizio il quarantenne esperto informatico che a luglio di due anni fa si presentò in ospedale con una ferita d’arma da fuoco, senza riuscire a fornire una versione convincente sulle cause. Divenne tutto più chiaro quando gli agenti fecero irruzione nel garage della villetta di Formello dove l’uomo viveva con la famiglia: all’interno erano nascoste undici pistole semiautomatiche […] realizzate in maniera totalmente artigianale con l’ausilio di una stampante 3D».
Al fenomeno che chiama «corsa a un’arma fai da te» Del Porto associa altri due episodi di cronaca, stavolta napoletani: nelle loro officine due artigiani «modificavano e rendevano funzionanti pistole giocattolo oppure scacciacani. In questo caso il percorso […] passa dall’acquisto […] di una replica oppure di una pistola a salve, e dalla successiva modifica».
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