Etica e morale: c’è compatibilità tra la pratica della religione cattolica e quella della caccia? Qualcuno vorrebbe farci credere di no.
Questa è la cronaca di alcuni fatti che si sono susseguiti in questo mese di avvento, quel tempo liturgico che prepara il cattolico praticante all’evento del Natale:
- 27 novembre. Lorenzo Croce, presidente dell’Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente (AIDAA), chiede a papa Francesco la scomunica dei preti cacciatori – pare siano 230 in Italia – definendo la caccia «pratica vergognosa che si basa sulla violenza e sulla morte, quindi in netto contrasto con i principi di amore dettati dal cristianesimo» (www.quotidiano.net/cronaca/preti-caccia-1.2710861).
- 1 dicembre. Lauro Tisi, arcivescovo di Trento, preoccupato per le minacce nei confronti della curia e la possibilità che il rito venga disturbato dalle contestazioni degli animalisti, annulla la celebrazione della messa di S. Uberto in duomo. Il rito avrebbe dovuto concludere le celebrazioni del patrono dei cacciatori organizzate dall’Associazione Cacciatori Trentini. Per gli animalisti, “l’unica messa buona per il cacciatore è quella funebre” (www.ladige.it/news/cronaca/2016/12/01/vescovo-annulla-messa-duomo-cacciatori-presidente-amareggiati-delusi-anche ).
Premesso – da credente – che non è mia intenzione avventurarmi in dissertazioni di carattere teologico, attività cui però evidentemente non si sottraggono atei, agnostici e ignoranti, voglio evidenziare alcuni punti del Catechismo della Chiesa Cattolica, il “manuale d’istruzioni” che accompagna il credente nel suo cammino di fede.
Il catechismo afferma, parlando di rispetto dell’integrità della Creazione, che “gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura. Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti.
Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone”. Da notare, per inciso, che di animali si parla a proposito del settimo comandamento (Non rubare) e non, come qualcuno vorrebbe farci credere, a proposito del quinto (Non uccidere).
Il presidente di AIDAA, che si è voluto atteggiare a moderno fustigatore della morale cattolica elevando papa Francesco ad alfiere dei cosiddetti diritti degli animali, è però sconfessato da molti documenti ufficiali della Chiesa. Nella sua enciclica Laudato si’ del 2015 sulla “cura della casa comune”, definita la più ambientalista di tutte le encicliche, proprio Francesco ha infatti riportato testualmente quanto indicato nel Catechismo. E l’Ufficio Stampa del Vaticano, interpellato per dire la sua su certe opinioni spericolate che purtroppo trovano eco su mass media e in parte della pubblica opinione, ha sottolineato come “la Chiesa non si occupa di animali”. Mi sembra sufficiente, per quanto mi riguarda, per andare a letto con la coscienza tranquilla.
Se oggi la libertà di alimentazione è aggredita dai vegani, se il diritto e il dovere di cacciare (non ci dimentichiamo che la caccia correttamente esercitata è indispensabile per la gestione dell’equilibrio ambientale) sono messi in discussione dai falsi benpensanti, se la libertà di ricerca scientifica è assalita dagli animalisti, se in definitiva la superiorità dell’uomo sul Creato si sgretola ovunque, tutto ciò è dovuto a una linea di pensiero che tende a distruggere “la distinzione religiosa tra uomo (creato a immagine di Dio) e animale”. Parole, vale la pena di sottolinearlo, pronunciate dall’areligioso Tom Wolfe, scrittore e giornalista americano.
Qualsiasi sfruttamento della Natura, fauna e ambiente, «esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2415)». Rispetto. Tutto il resto è mistificazione.