Il Consiglio di Stato ha restituito il porto d’armi a un uomo di Reggio Calabria dopo che Questura e Tar glielo avevano revocato. La sua colpa? Avere un figlio condannato.
A prima vista potrebbe sembrare una non-notizia, visto che già in passato è stato stabilito che non tutti i precedenti penali determino per forza la revoca del porto d’armi. Figuriamoci i precedenti penali di un parente. E invece, nel Paese delle mille leggi e delle diecimila interpretazioni, ci tocca ritornare sull’argomento dopo che il Consiglio di Stato ha dato ragione a un cittadino di Reggio Calabria.
La questura e il Tar competente hanno torto nel vietare il rinnovo del porto d’armi a chi ha un figlio condannato per qualche tipo di reato. Tantomeno se i due non convivono neppure. Non si può considerare unico elemento espressivo dell’affidabilità di chi richiede il porto d’armi il rapporto di parentela con una persona che ha avuto problemi con la legge. Né ha senso pensare che il figlio “condannato per il reato di prostituzione minorile avrebbe potuto giovarsi dell’arma detenuta [dal padre] anche contro la sua volontà”. I requisiti di legge devono essere valutati solo nei confronti di chi “è destinatario dell’autorizzazione, senza coinvolgere persone distinte dal richiedente”.