Con una sentenza depositata nel mese di febbraio 2017 il Tribunale amministrativo di Trento ha sancito che non esista automatismo tra condanna penale e preclusione al rilascio del porto d’armi
D’un tratto ecco una decisione in controtendenza rispetto alle ultime notizie sulla concessione del porto d’armi ai pregiudicati. Se n’è parlato a più riprese e la linea era sempre la stessa. Una condanna penale, per qualsiasi reato e anche in presenza di riabilitazione, è stata a lungo considerata motivo ostativo per la concessione del porto d’armi. Fino alla sentenza 31/2017 del Tar di Trento che ha accolto il ricorso di un cacciatore dopo la revoca del porto d’armi. A suo modo è una sentenza storica. È pacifico che il Tribunale amministrativo non faccia giurisprudenza. E che quindi sia arduo considerare questa sentenza alla stregua di un precedente. È inevitabile poi che la pubblica amministrazione, Ministero degli Interni e questura in testa, presentino controricorso al Consiglio di Stato. Ma in ogni caso si tratta di un cambio di linea evidente.
Non tutte le condanne sono ostative
Del ricorrente non si conosce l’identità, a tutela della sua riservatezza in una questione tanto delicata. Si sa solo che è stato difeso dall’avvocatessa Claudia Eccher e che nel 1993 era stato condannato per furto aggravato. Il ricorso è stato vinto reclamando una lettura evolutiva del Testo unico di pubblica sicurezza. Di fatto, si richiede una congrua motivazione del provvedimento di revoca del porto d’armi. Devono pertanto essere tenute in considerazione una serie di circostanze soggettive e soggettive. E tra queste spiccano “il tempo trascorso dalla condanna, il comportamento successivamente tenuto dall’interessato”. E poi ancora “l’eventuale intervenuta riabilitazione”.
Pertanto il Ministero degli Interni ha torto nel sostenere che la revoca è automatica dopo una condanna penale. E non è assolutamente vietato concedere il porto d’armi ai pregiudicati. L’automatismo della preclusione non è assoluto e immodificabile. Tanto più in presenza di riabilitazione o di conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria. E se si tiene conto della complessiva condotta di vita dell’interessato. È una bella pietra sulla strada del diritto, verrebbe da pensare. Ma una strada si fa di molte pietre. E c’è il rischio che si sia solo all’inizio.