È stata presentata una ricerca dell’Università La Sapienza sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute.
Sono appena il 5% gli omicidi commessi con armi legalmente detenute. È quanto emerge da “Sicurezza e legalità”, la ricerca condotta dall’Università La Sapienza di Roma e curata dal professor Paolo De Nardis. Altro valore significativo: se si considera chi detiene legalmente armi da fuoco, il numero di omicidi è di un quinto più basso rispetto al dato generale. Ancora: all’aumento delle licenze corrisponde una diminuzione degli eventi. Il 98,93% dei responsabili è uomo; donne il 63% delle vittime. Lo studio è stato condotto analizzando i dati relativi a 11 anni, dal 2007 al 2017. Nella sintesi della ricerca si legge inoltre che, “sebbene non sia stato sempre possibile avere notizie […], l’impressione generale è che gran parte degli omicidi commessi con armi legalmente detenute sia stata realizzata da meri detentori”.
I dati sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute
Il 12% degli omicidi commessi con armi legalmente detenute è parificabile a un atto di eutanasia, “con l’intento di alleviare le sofferenze della vittima”. Secondo gli autori della ricerca, “il sistema di controllo dei detentori [di armi legali, ndr] è evidentemente efficace”. Ciò non toglie che tutto possa essere sempre migliorato. Potrebbe essere utile implementare un modello che, “mediante specifici alert, solleciti un controllo” dei soggetti potenzialmente a rischio.
Dalla ricerca emerge anche un altro dato interessante: all’eccesso di legittima difesa è riconducibile appena il 2,45% dei delitti. Questo dato quindi “ridimensiona la discussione sulla legittima difesa, che riguarda in realtà pochissimi casi”.
La distribuzione regionale (pochi casi in Trentino Alto Adige, Sardegna, Umbria, Piemonte, Sicilia ed Emilia Romagna) “sembra suggerire che la tradizione e la pratica del tiro sportivo [e della caccia, ndr] riduca, in qualche misura, la propensione dei detentori cacciatori e sportivi ad abusare delle loro armi”. I ricercatori ritengono inoltre che “la cultura della sicurezza” che permea il mondo venatorio e del tiro sportivo rappresenti una buona medicina contro il pericolo di abuso delle armi.