Il Tar del Lazio ha stabilito che non è previsto un risarcimento in caso di revoca e poi di restituzione del porto d’armi.
Aveva chiesto un risarcimento di 26.880 euro perché il porto d’armi gli era stato revocato e poi restituito con tante scuse. Ma il Tar del Lazio ha risposto picche. E, anche se non fa giurisprudenza, per la giustizia amministrativa è un bel precedente. Perché, “tenuto conto dell’ampia discrezionalità di cui gode in materia l’amministrazione a tutela della pubblica sicurezza, non è ravvisabile né l’illegittimità dei provvedimenti impugnati né alcun coefficiente di colpa in capo alla stessa”.
La storia: dai colpi mai esplosi alla revoca del porto d’armi, e ritorno
Nel settembre 2006 i carabinieri avevano contestato a un cittadino laziale l’esplosione di alcuni colpi d’arma da fuoco presso la sua abitazione estiva di Senatello di Casteldelci (allora Pesaro, ora Rimini). In realtà le esplosioni non erano state provocate da armi da fuoco, ma da alcuni giochi pirotecnici. L’uomo si era limitato a sparare contro alcuni barattoli con una carabina ad aria compressa. All’interno del proprio garage. Ma, nel corso della perquisizione, le forze dell’ordine avevano rinvenuto alcune munizioni per pistola acquistate il giorno precedente e non ancora denunciate. Nonostante che la scadenza sia fissata a quarantotto ore, i militari avevano deciso per il sequestro.
E da lì sono partiti contestualmente un procedimento penale e uno amministrativo. Che tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 ha portato alla revoca del porto d’armi venatorio e sportivo. Ma nel 2008 l’uomo è stato assolto dal Tribunale di Pesaro, allora competente su Casteldelci prima del passaggio del territorio alla provincia di Rimini. E, facendo forza sull’assoluzione, col tempo l’uomo è riuscito a far cadere la revoca del porto d’armi. Quantificando in 20.000 euro i danni non patrimoniali (danno alla salute e alla vita familiare, “perché non aveva più potuto recarsi a caccia con il figlio minore”) e in 6.880 quelli patrimoniali (spese per il mantenimento del cane da caccia, spese per i viaggi verso l’armeria per depositare e poi ritirare le armi, spese legali per le consulenze amministrative e penali).
Non esistono danni esistenziali
Ma il Tar del Lazio ha stabilito che quei soldi non gli spettano. L’esito favorevole del procedimento penale “non inficia le valutazioni dell’amministrazione, autonomamente scaturenti dai fatti denunciati”. E l’ordinamento italiano non prevede la categoria del “danno esistenziale, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona”. Non sono “meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale”. E dunque non rientra tra le voci risarcibili “il pregiudizio derivante dal non aver potuto svolgere un’attività ludica relativa al tempo libero, né può in alcun essere ascritto a tale limitazione l’eventuale peggioramento del rapporto con il figlio”. In cauda venenum: l’uomo deve pagare all’amministrazione metà delle spese di lite, quantificate in 1.200 euro.