I produttori: la guerra tra Russia e Ucraina rende un azzardo qualsiasi ulteriore restrizione all’impiego di munizioni in piombo.
In questo contesto geopolitico rinunciare alle munizioni in piombo potrebbe comportare conseguenze gravi per l’intera Europa. Pertanto l’Afems, associazione cui aderiscono i produttori di munizioni civili e militari, chiede una moratoria del divieto per dieci anni almeno; tanto servirebbe infatti per consentire all’industria d’individuare soluzioni alternative che non la rendano dipendente dall’importazione da nazioni extraeuropee e che non compromettano la sua capacità produttiva.
Il piombo è infatti ricavato da fonti interne per circa il 50%; l’acciaio è invece quasi totalmente importato, in gran parte dal mercato cinese. Per le altre alternative la situazione è ancora più complicata: oltre che la dipendenza dalla Cina, tungsteno e bismuto pagano l’inserimento nell’elenco europeo delle materie prime critiche.
L’Anpam: pericolosa la leggerezza
Intervenuto nel corso di How we can govern Europe, l’incontro organizzato a Roma da Eu News, Green economy agency e Fondazione art. 49 col patrocinio di parlamento e Commissione europea, il presidente Anpam Giovanni Ghini ha ricordato che si va incontro a rischi grandi se si tratta il tema con leggerezza: la decisione d’imporre un divieto può inficiare l’autosufficienza della sicurezza nazionale ed europea; il passaggio a munizioni alternative ci porrebbe infatti di fronte a «ritardi, scarsità di prodotti e dipendenza da Stati extraeuropei».
La guerra tra Russia e Ucraina rende dunque impensabili ulteriori restrizioni alle materie prime utilizzate per le munizioni. Oltre che sul prodotto in sé, il divieto di impiegare il piombo impatterebbe anche su macchinari e linee di assemblaggio civili; dovrebbero infatti essere sostituiti perché non più riconvertibili alla produzione di munizioni militari in caso di necessità.
Ci sarebbe poi da affrontare un problema ulteriore, ossia la compatibilità delle munizioni alternative con gli standard Nato: «Una loro eventuale immissione nel settore militare necessiterebbe di un congruo lasso di tempo» stimabile in almeno dieci anni «per la definizione degli standard sulla validità tecnica e balistica».
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