Per legittimare la revoca del porto d’armi non sono sufficienti episodi isolati di liti in famiglia.
Non preceduto né seguito da altri analoghi un unico episodio di liti in famiglia, «nemmeno particolarmente grave», non può essere sufficiente a provocare la revoca del porto d’armi, tanto più se il soggetto coinvolto è una guardia giurata che ne ha bisogno per lavorare; lo ha deciso il Tar della Sicilia (sentenza 2471/2023) ribaltando la decisione della prefettura di Palermo.
In caso di tensione familiare per giustificare un provvedimento pesante come la revoca della licenza sono necessari «comportamenti violenti o pesantemente minacciosi»; non sono sufficienti «i meri dissidi, seppur gravi», che possono essere risolti semplicemente ponendo fine alla coabitazione.
È esattamente quanto è successo. Dopo quell’episodio il figlio, che le forze dell’ordine (le aveva allertate il padre, la guardia giurata) definirono «vistosamente in escandescenza», s’era infatti trasferito.
Sulla base «d’un ragionamento puramente ipotetico» la prefettura aveva ritenuto impossibile «escludere a priori altre situazioni di conflittualità»; ma si tratta d’una decisione forzata e senza fondamento concreto, visto che anche in quella circostanza l’uomo non fu responsabile di minacce né di comportamenti inappropriati o in prospettiva pericolosi.
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