La custodia delle armi interessa e angoscia molti appassionati: è perciò doveroso riportare la decisione n. 678/2022 del gip (giudice per le indagini preliminari) del tribunale di Monza.
Questa volta a finire sulla graticola – penale e amministrativa – è stato un tiratore agonista che, subito dopo avere regolarmente denunciato l’acquisto di una pistola cal. .22 Lr da tiro, ha ricevuto un’ispezione da parte dei carabinieri che ritiravano le armi detenute (due pistole per tiro agonistico calibro ventidue) e la licenza di porto d’armi, segnalando il soggetto per il reato di omessa custodia alla Procura della Repubblica di Monza.
Le armi, al momento dell’accesso delle forze dell’ordine, erano chiuse all’interno delle loro valigette (munite di combinazione). Il detentore faceva notare che la casa era protetta da una porta blindata, non c’erano accessi dall’esterno (trattandosi di una mansarda) e neppure altre persone conviventi.
Nulla da fare. Tale modalità di custodia era ritenuta “lesiva della pubblica sicurezza” e “frutto di un’errata condotta”. Viene da chiedersi se chi è legittimato a entrare in casa nostra senza alcun preavviso abbia una conoscenza adeguata della normativa, soprattutto dell’applicazione a livello pratico e giurisprudenziale delle norme sulla diligente custodia delle armi.
A un potere sicuramente eccezionale dovrebbe corrispondere una conoscenza altrettanto profonda dell’impianto normativo. Troppo facile attribuire reati, ritirare armi e licenza e attendere che la magistratura penale si pronunci: però così funzionano le cose.
I punti fermi
Oltre al procedimento penale, il soggetto subiva due procedimenti di tipo amministrativo: la Questura monzese ne apriva uno per sospendere o revocare la licenza di PdA uso tiro a volo e la Prefettura di Milano un secondo per vietare ex art. 39 Tulps la detenzione delle armi.
Per fortuna entrambi i procedimenti erano sospesi – fino all’esito dei quello penale – dopo che il soggetto inviava due memorie esplicative tramite il proprio legale. Almeno è stato evitato il ricorso al Tar. Il procedimento penale ha avuto vita breve. Le difese contavano su alcuni punti fermi: la custodia delle armi deve essere garantita a tutela della sicurezza pubblica. Osserviamo quanto segue:
- nessuna legge prescrive l’adozione di particolari sistemi di sicurezza o mezzi forti;
- l’indagato non esercitava professionalmente attività in materia di armi e non è un collezionista di armi;
- il questore di Monza non ha mai impartito disposizioni speciali riguardanti la custodia delle armi in detenzione, anche secondo le facoltà impositive concesse dall’art. 9 Tulps.
L’abitazione non presentava accessi, come balconi con porte o finestre, oltre alla porta di ingresso di tipo blindato; nessuno conviveva insieme all’indagato; in casa non erano custodite munizioni; le “valigette” vengono fornite dal produttore insieme alle pistole.
Tali contenitori ottemperano alle norme di sicurezza standard per la diligente custodia e il trasporto delle armi e sono muniti di chiusura doppia con serratura a combinazione (nota al solo detentore) al fine di evitare l’apertura da parte di soggetti non autorizzati.
Tali contenitori sono quotidianamente usati da migliaia di agonisti e praticanti il tiro sportivo e ludico sportivo, oltre che per la custodia casalinga, per trasportare le armi dal luogo di detenzione ai poligoni di tiro e sui campi di gara.
L’indagato è un agonista federato Uits per le specialità del tiro a segno. Si tratta – quindi – di persona totalmente affidabile nonché particolarmente esperta in ogni aspetto dell’utilizzo delle armi per il tiro sportivo. Sussistevano tutti i requisiti che l’art. 20 comma 1 della legge n. 110/1975 detta per la custodia diligente delle armi e non era ipotizzabile una sua violazione, come erroneamente prospettato dalle forze dell’ordine.
Del pari non era ipotizzabile una violazione del successivo art. 20 bis commi 1 e 2, difettandone i presupposti in fatto e in diritto. Al riguardo, preme segnalare che, per costante giurisprudenza, l’obbligo di dotarsi di particolari dispositivi antifurto – oggetto di specifiche prescrizioni da parte dell’autorità – grava unicamente sui titolari di licenze di fabbricazione o di raccolta di armi; negli altri casi la legge richiede solamente una custodia diligente, in base al criterio di comune prudenza.
Infatti, anche nell’ipotesi in cui il detentore dell’arma abbia una famiglia, deve unicamente adottare una condotta diligente per scongiurare situazioni di pericolo.
La sentenza del gip
Con richiesta in data 17 giugno 2022, qui pervenuta il 30 giugno 2022, il pubblico ministero chiedeva l’emissione di decreto penale di condanna in relazione al reato indicato in rubrica. Di diverso avviso il gip (giudice per le indagini preliminari): ad avviso di chi scrive, il fatto-reato non sussiste.
L’imputato (…) si è recato presso i carabinieri di (…) a denunciare l’acquisto di un’arma corta da sparo. Alle successive ore 11.00 gli stessi operanti effettuavano un controllo domiciliare e accertavano che quella ed altra arma che l’imputato deteneva regolarmente erano custodite all’interno delle rispettive valigette appoggiate accanto al divano del soggiorno ove si trovava l’imputato e, giudicandole non diligentemente custodite, provvedevano al ritiro cautelativo delle stesse.
Senza entrare nel merito della valutazione che compete all’autorità amministrativa sul punto (infatti le armi non sono in sequestro penale ma sono solo state ritirate cautelativamente dall’autorità di P.S.), non si ritiene che sia integrata nel caso di specie la fattispecie penale contestata atteso che l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dall’art. 20 della legge n. 110 del 1975, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi (l’obbligo di dotarsi di particolari dispositivi antifurto grava unicamente sui titolari di licenze di fabbricazione o raccolta di armi, come disposto dal secondo alinea del primo comma dell’art. 20 cit.), deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio del1’id quod plerumque accidit.
La S. C. ha sempre ribadito tale principio aggiungendo anche che è necessario che l’agente possa rappresentarsi, in relazione a circostanze specifiche, l’esistenza di una concreta situazione di fatto tale da richiedere l’adozione di particolari cautele volte ad impedire che uno dei soggetti contemplati dalla norma – minori incapaci, persone inesperte o tossicodipendenti – riescano ad impossessarsi delle armi (Cass. pen., sez. 1, n. 20192 del 27 aprile 2018 ud. – dep. 8 maggio 2018).
Non essendo stata segnalata nel caso di specie la presenza di alcun elemento relativo alla situazione di fatto – come per esempio la presenza di persone conviventi, minori o comunque inesperte – che induca a ritenere imprudente la situazione accertata, si ritiene di dover mandare assolto l’imputato perché il fatto non sussiste.
Per questi motivi, visto e applicato l’art. 129 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di (…) in ordine al reato a lui ascritto perché il fatto-reato non sussiste.
I risvolti amministrativi
Quantunque un’archiviazione, anziché la richiesta di decreto penale di condanna, sarebbe stata più rapida e parimenti soddisfacente, la sentenza del gip è stata comunque giustamente motivata ed è passata in giudicato.
Stante l’esito favorevole del procedimento penale, sia la questura monzese sia la prefettura di Milano hanno subito disposto l’archiviazione senza seguito dei rispettivi procedimenti amministrativi.
La prima ha convocato il tiratore presso i propri uffici per la restituzione del porto d’armi; la seconda ha disposto la restituzione al legittimo detentore delle due pistole, ritirate in via cautelare dai Carabinieri.
Credo che anche loro abbiano compreso l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria, perciò non è stata necessaria alcuna altra valutazione al di là del recepimento delle motivazioni espresse dal giudice.
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