L’inizio del 2018 potrebbe risultare indigesto ai cacciatori, visto l’argomento che vado a introdurre. Prendo ancora spunto da un fatto di cronaca giudiziaria dalle news di questo sito. Leggo che taluna giurisprudenza vorrebbe considerare ogni tipo di incidente occorso durante l’attività venatoria come ragione valida per la revoca del porto d’armi.
Mi chiedo se questo corrisponda davvero ai criteri generali, costituzionalmente orientati, che reggono l’intero impianto giuridico/normativo. Nonostante le infinite precauzioni, gli incidenti durante l’attività venatoria sono accaduti, e accadono. È il lato oscuro di qualunque attività, e costituisce un problema: negarlo è ipocrita, sottovalutarlo è criminale, affrontarlo è sacrosanto! Ogni attività umana contempla errori, in quanto compiuta da esseri imperfetti, senza voler fare filosofia spicciola. L’evoluzione e il progresso non riducono a zero gli errori (al limite ne diminuiscono l’incidenza statistica); sarebbe come sperare che l’evoluzione degli autoveicoli conduca a zero incidenti stradali: la strada (in tutti i sensi) è ancora molto lunga…
Il principio di proporzionalità
Ogni errore – tuttavia – dovrebbe essere giudicato secondo alcuni principi ben radicati nella nostra cultura giuridica e sociale: cito, tra i tanti, il principio di proporzionalità e quello di ragionevolezza. Alcuni di questi criteri sono codificati, altri sono indicati come linea guida da adattare (in via di applicazione) al caso concreto. Come è possibile livellare tutto, o peggio innalzare ogni errore al massimo livello, al quale corrisponde la punizione più severa? Siamo al di fuori del principio di proporzionalità. Potrò sbagliarmi (non essendo un cacciatore), ma le dinamiche degli incidenti contano eccome, e devono essere valutate attentamente. Ci saranno casi dove la revoca della licenza e il sequestro delle armi è la migliore soluzione per evitare il reiterarsi della condotta; casi gravi, negligenza grave, tale da non lasciare dubbi sul venir meno del requisito di affidabilità circa l’utilizzo delle armi. Ci sono invece casi dove tale “emergenza” (nel suo duplice significato semantico) non c’è. Si parla di “incidenti venatori dove resta coinvolta un’altra persona”. E il comportamento del danneggiato dove lo mettiamo? Anch’esso merita di essere valutato.
I casi sono due
1) Tutto ciò ha poco a che vedere con il diritto, ma è una logica asservita alla riduzione pretestuosa di armi e licenze. Al pari del considerare un delinquente il sessantenne che a diciotto anni rubò un sacchetto di ciliegie.
2) La giustizia nega valore a principi codificati, come quello del concorso colposo del danneggiato. In entrambi i casi, questa è davvero una pessima notizia.