Quali sono le cause di forza maggiore e la minima diligenza necessarie a non far scattare la fattispecie d’incauta custodia dell’arma?
Non si può parlare d’incauta custodia dell’arma se “momentanee cause di forza maggiore” rendono impossibile una diligenza migliore di quella che comunque consente di mantenerla in condizioni di sicurezza accettabili, anche se non perfette. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato (sentenza 5643/2022) accogliendo il ricorso di una guardia giurata dipendente di un istituto di vigilanza calabrese e ribaltando la decisione di Tar e ministero dell’Interno.
Nei confronti della guardia era infatti scattato il divieto di detenere armi e munizioni dopo che, colpito da una grave gastroenterite mentre si trovava nei locali di una società vigilata, per andare in bagno aveva riposto la pistola sul lavabo di un ambiente chiuso a chiave; l’aveva lasciata lì per pochi minuti, ma l’aveva trovata un addetto alle pulizie che aveva subito avvertito i carabinieri.
Per il Consiglio di Stato “in tale condizione di forza maggiore [la guardia] aveva comunque la lucidità di mantenere l’arma […] sotto il proprio diretto controllo”; si trovava infatti in “un edificio dall’accesso limitato e controllato e in un locale idoneo poiché chiuso a chiave”. Non si può punirlo per essersi “allontanato per un periodo di pochi minuti, comunque sufficiente a far rinvenire l’arma al servizio […] di pulizia degli ambienti”.
Il Consiglio di Stato ricorda però che, al di là del caso specifico, “l’abbandono volontario o anche la semplice dimenticanza episodica dell’arma, a maggior ragione se munita di munizioni, in luoghi aperti all’accesso di altre persone [prive di licenza] determina il legittimo intervento della pubblica autorità”; ne conseguono il sequestro dell’arma e la revoca o il mancato rinnovo della licenza anche qualora il titolare sia una guardia giurata.
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