Lo ha stabilito il Tar dell’Emilia Romagna: l’uomo è stato soltanto la vittima di un reato.
L’amministrazione ha sbagliato a revocare porto d’armi e decreto di nomina a guardia giurata a un cittadino di Parma a cui “una donna con cui intratteneva una relazione affettiva” aveva rubato la pistola. Lo ha stabilito il Tar dell’Emilia Romagna con una sentenza resa nota nel pomeriggio: l’uomo non può essere considerato responsabile di quanto avvenuto, perché l’arma fu sottratta dall’armadio della stanza da letto, dove veniva riposta occultata sotto la divisa, e il furto fu immediatamente denunciato.
La pistola rubata dalla fidanzata fu trovata peraltro presso l’abitazione della donna, “nascosta sotto le tegole della finestra adiacente la porta di ingresso”. Anche se la domanda risarcitoria viene respinta (“sia per difetto di prova del danno sia per l’intuitiva considerazione che la pronta definizione del giudizio, con annullamento dei provvedimenti impugnati e rimozione dell’ostacolo da essi costituito all’attività lavorativa del ricorrente, elide in radice l’insorgenza di un danno economicamente apprezzabile”), i giudici riconoscono che l’episodio, di cui l’uomo è vittima, non può determinare una sanzione così pesante da causare inevitabilmente il licenziamento.
La revoca del porto d’armi e “a fortiori, la revoca del decreto di nomina di guardia giurata richiedono quindi una valutazione della complessiva condotta e personalità del soggetto e non possono fondarsi unicamente sulla rilevanza di un unico episodio, oltretutto nel caso di specie non esitato in una indagine penale né tantomeno in una sentenza di condanna”. Anzi: l’evento non è dipeso dalla volontà della guardia, perché si tratta di un furto commesso ai suoi danni. E l’episodio non può fondare un giudizio di inaffidabilità sul buon uso delle armi, “sia in quanto accadimento isolato, sia in quanto determinato dal fatto delittuoso del terzo, oltretutto previamente denunciato dal ricorrente”.