Il Consiglio di Stato ha confermato che è legittimo revocare la licenza di porto e di collezione d’armi a chi minaccia d’usarle per legittima difesa contro un intruso palesemente non pericoloso.
Se i tribunali considerano la reazione sproporzionata e dunque ravvisano un eccesso, anche la sola minaccia d’usare le armi per legittima difesa può portare a provvedimenti amministrativi pesanti. Così ha infatti deciso il Consiglio di Stato (terza sezione, ordinanza 3926/2023) respingendo il ricorso d’un tiratore contro la decisione del Tar del Lazio che, in accordo con la questura di Latina, aveva deciso di revocargli la licenza di porto d’armi sportivo e di collezione d’armi comuni.
Nell’ordinanza si legge infatti che «le particolari condizioni nel quale versava l’intruso denotavano palesemente l’insussistenza di pericolo d’aggressione alla persona e ai beni dell’appellante». Pertanto «l’intimazione a fermarsi e la minaccia con armi risulta sproporzionata, tale da ingenerare la ragionevole valutazione d’inaffidabilità sul corretto uso delle armi».
Le riflessioni che si generano sono infinite, e sempre le solite. La principale è quella che ricorre con più frequenza: quando si fronteggia un intruso come si fa ad avere l’assoluta certezza che non si rischi un’aggressione? E non dovrebbe essere argomento a favore aver mantenuto la lucidità necessaria a limitarsi a minacciare l’uso delle armi?
Di più è difficile dire, perché difficile è la ricostruzione: l’ordinanza è costellata d’una serie d’omissis che, per impedire l’identificazione dei protagonisti, rendono difficile analizzare la vicenda nel dettaglio.
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