Si cambia ancora. Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Ministero dell’Interno: non sono necessarie condanne specifiche per la revoca del porto d’armi
Dopo qualche passo avanti in senso liberale, torna a farsi più stretto il nodo tra condanne penali e porto d’armi. Il Consiglio di Stato ha infatti accolto il controricorso del Ministero dell’Interno e revocato la licenza per uso venatorio a un cacciatore aretino. Nel 2016 l’uomo aveva vinto il ricorso presentato al Tar della Toscana contro la questura che gli aveva revocato il porto d’armi. Secondo gli uffici periferici dell’Interno, le condanne ricevute dal cacciatore erano sufficienti a vietargli l’uso delle armi. Anche se non erano strettamente legate alla materia.
Omesso versamento di ritenute previdenziali. Mancata denuncia del trasferimento della proprietà di un bene culturale. Guida con patente revocata. La questura riteneva i provvedimenti sintomo dell’inaffidabilità del cacciatore. Al contrario l’uomo aveva segnalato come gli illeciti non fossero indicativi di una personalità violenta. Con la sentenza 834 del 2016 il Tar gli aveva dato ragione. “Nessuna delle condanne suddette è riferibile all’utilizzo delle armi”. E poi “non sussiste alcun nesso logico fra i reati compiuti dal ricorrente e il possibile abuso delle stesse”. Pertanto “dalle sue condanne pregresse non può ragionevolmente essere desunta una scarsa affidabilità in proposito”.
Stavolta ha la meglio il Ministero dell’Interno
Ma l’Interno non si è arreso e alla fine di febbraio 2017 ha ottenuto la propria rivincita. La sentenza 837/2017 del Consiglio di Stato, ultimo organo della giustizia amministrativa, stabilisce che l’amministrazione ha tutto il diritto di procedere alla revoca del porto d’armi. Perché il provvedimento è “atto connotato da elevata discrezionalità”. Non c’è solo “la capacità del soggetto di non abusare delle armi”. Pesa anche il merito “a ottenere e mantenere la licenza di polizia”.