Il Tar della Sicilia ha accolto il ricorso di un cittadino di Palermo a cui la prefettura aveva negato la concessione del porto d’armi per una condanna di undici anni prima.
Bisogna discernere tra condanna e condanna, non ci sono automatismi quando si tratta di concessione del porto d’armi. È questo il senso in cui è da intendere il potere discrezionale di cui tanto si ragiona. Lo ha ribadito pochi minuti fa il Tar della Sicilia dando ragione a un cittadino palermitano al quale nel 2011 la prefettura aveva negato il porto d’armi. Nel 1997 l’uomo aveva subito una condanna per violazione delle norme sul conglomerato cementizio armato e delle prescrizioni per le costruzioni in zone sismiche. In più il prefetto aveva giustificato la mancata concessione del porto d’armi sottolineando che “nel contesto familiare vi fossero rapporti con soggetti gravati da pregiudizi penali”.
Ma. Numero 1: “in merito alla condanna, è sufficiente rilevare che è risalente nel tempo e non riguarda in alcun modo l’uso di armi”.
Numero 2: “con riferimento ai rapporti parentali, è noto che la mera sussistenza di un rapporto del genere con un soggetto pregiudicato non è, di per sé, indice di una capacità di abuso delle armi”.
Pertanto l’amministrazione deve concedere la licenza.
Rimane una riflessione: è vero, la giustizia ha i suoi tempi, ma di fatto per sei anni un cittadino di questo Paese si è visto privare di un diritto che avrebbe potuto e dovuto legittimamente esercitare.