Zingaro voglio vivere come te, andare dove mi pare non come me. Così cantava il Tozzi nazionale. Era l’aspirazione legittima a una vita lontano dai vincoli e dai doveri di tutti i giorni…
… era un’invidia, mal celata, per chi per antonomasia non si sente legato a nulla e della libertà delle traiettorie che portano più lontano possibile se ne fa una ragione di vita. Il titolo di questa vecchia canzone degli anni Settanta oggi sarebbe al limite del politicamente corretto, ma il concetto di fondo non cambia: un inno alla libertà di correre dietro al vento è tutto lì da canticchiare.
Facendo un salto temporale dagli anni Settanta ai giorni nostri, mi sono ritrovato a spasso per l’Italia nel periodo delle prove di lavoro estive riservate ai cani da ferma. Il ritmo che solamente la casualità sa dare agli incontri e allo stare insieme settimana dopo settimana, con persone che magari conosci poco e che, man mano che la frequentazione aumenta, diventano conoscenze (e qualcuno magari diventa amico), quella casualità – dicevo – ha un sapore strano. Quando le persone mangiano ripetutamente allo stesso tavolo, con una certa assiduità, è come se iniziassero a formare una nuova società, una famiglia. Quando gli stessi aneddoti riecheggiano e provocano risate, le stesse risate, in posti diversi in un lasso di tempo breve, è come se una famiglia tendesse a ricomporsi alla maniera di uno sciame dopo essersi separata solo qualche giorno prima.
Cacciatori cinofili in marcia con la carovana della cinofilia
Poi i termini non sono importanti: famiglia, carovana è uguale. Non sono i termini che contano. Anche perché a furia di girare i termini si depositano nel linguaggio della carovana. Termini che vanno a costituire un gergo che poi sfocia quasi in una lingua nuova, una sorta di “esperanto” fatto ad hoc per la carovana della cinofilia, a cui si aggregano molti cacciatori cinofili. Una parola di spagnolo, due in serbo, tre in croato, tante in italiano, tante in dialetto (che cambiano a seconda di chi si frequenta) e i discorsi prendono così la forma della passione, meglio descritta con tutti quei termini che si accumulano fra l’Andalusia e la Serbia. Meglio descrivono le starne, i punti, le prese di punto, le “possibili truffe”, i cani, i conduttori, i cacciatori, i giudici e la passione per la caccia con il cane da ferma. Tutto raccolto negli aneddoti e stigmatizzato dal linguaggio autoctono del serpentone dei furgoni. Idemo che è tardi! Per lo sgancio, per le relazioni, per il pranzo, per i cani da accudire. Idemo. E si va! Non ci si ferma mai. Sempre in giro e senza accorgersene ci si trasforma in zingari. E il tempo passato “a giro” fa nascere delle domande. E senza affannarci a trovare le risposte ci si chiede: ma andiamo in giro per i cani o i cani sono una scusa per andare in giro? Domanda che può rimanere senza la risposta. Come una nave che continua ad andare ma non attraccherà mai in nessun porto, la carovana della cinofilia è perpetua. Gli appuntamenti si susseguono con le stagioni, fra prove e allenamenti. Per arrivare pronti sui terreni di caccia.
© Ottavio Mencio, Sentieri di Caccia gennaio 2019