L’esposizione mediatica che ha attualmente la caccia alla beccaccia da molti viene additata come una delle cause della “svendita” di questa passione…
… Se ne parla troppo, parlarne non è utile e talvolta dannoso, è oramai un business, i media calcano questa passione solo per interesse economico, basta parlare della posta come atto illegale perché quei vecchietti che si vogliono togliere le ultimi soddisfazioni e che non riescono più a stare dietro ai cani in fondo non fanno alcun male, parlate bene e razzolate male … sono soltanto alcune delle frasi che più spesso si leggono sui vari social. Eppure tra le cacce che fanno parte della nostra tradizione venatoria quella alla regina del bosco è alla ribalta da tempo immemore.
I “mezzi” erano ovviamente diversi, ma già agli inizi del Novecento Nicola Camusso, dedicando una monografia alla beccaccia, scriveva: regina del bosco fu detta, ma non solo del bosco, sibbene di tutta la selvaggina io la direi sovrana. Nessun nome d’uccello fa battere il cuore del cacciatore quanto questo. La beccaccia! Basta questo magico nome ad elettrizzare il meno convinto dei seguaci di Sant’Uberto; basta l’annunzio dell’arrivo di questo uccello a fare abbandonare qualunque altra caccia, a far lasciare qualsiasi altra selvaggina, di essa tenuta meno degna delle cure del cacciatore. Una beccaccia sola mantiene il fuoco sacro validamente acceso nel petto del cacciatore, per giornate intere. È la beccaccia l’estrinsecazione di tutte le aspirazioni del cacciatore; lo scopo di tutti i suoi pensieri, la stella polare di tutti i suoi sogni ad occhi aperti. Esaù, cacciatore, vendette la primogenitura per una scodella di lenticchie; per una beccaccia avrebbe data la vita! Il cacciatore d’oggidì, che per una starna, sfida intemperie, stanchezza e fame, per una beccaccia sfiderebbe la morte! Nessuno dei molti uccelli ai quali l’uomo dà la caccia, nessuno dico, riceve dal cacciatore tante dimostrazioni di affetto quanto la beccaccia (Nicola Camusso, La beccaccia, 1920).
E da allora fiumi di inchiostro si sono sprecati (a volte, purtroppo, nel vero senso della parola); persino Ettore Garavini conclude la sua “bibbia” sulla regina del bosco scrivendo: parlatene, parlatene, parlatene.
Beccaccia e media: i tempi sono cambiati
I tempi sono cambiati, i mezzi di comunicazione pure, ma la passione per la caccia ha continuato ad alimentare emozioni forti. E forse non tutti sanno che nell’era di Internet Jorn Barger, un americano appassionato di caccia, che era solito tenere traccia della propria navigazione in rete raccogliendo i link significativi in una sorta di diario personale, nel dicembre del 1997 pubblica il primo blog della rete (battezzò la sua raccolta con il termine weblog) dedicato proprio al suo interesse per l’ars venandi. Solo pochi mesi prima, Dave Winer, padre dei feed Rss e del podcasting, aveva inventato il software che permette la pubblicazione di questa tipologia di resoconti on line. Quindi il primo blog on line fu proprio quello di un cacciatore che voleva condividere la sua passione (Leonard Berberi, Corriere della Sera, 5 luglio 2017).
Da che mondo è mondo, i media si buttano sugli argomenti di interesse. Non ha senso, infatti, parlare di cose che non interessano a nessuno. Il punto è come se ne parla e il compito di chi fa informazione è quello di trattare argomenti e notizie con onestà intellettuale. Se oggi noi riusciamo a parlare di caccia alla beccacccia con una diversa sensibilità, lo possiamo fare proprio grazie a certi canali di informazione che hanno trattato l’argomento in maniera corretta, perché solo parlandone, attraverso la divulgazione di informazioni e dati verificati, e scambiando opinioni, si contribuirà a fare crescere una sensibilità verso questo selvatico e verso una caccia sostenibile, l’unica che in questa epoca può avere (e avrà) un futuro.
Una nuova prospettiva culturale e sociale
La beccaccia rappresenta quindi anche un ponte per traghettare la caccia moderna in una nuova prospettiva culturale e sociale, allontanandosi dalla parte più retriva del mondo venatorio che rimane ancora arroccata sulla difesa di presunte tradizioni a giustificazione di modalità che non fanno altro che allontanare la caccia da una sua accettazione da parte dell’opinione pubblica, con cui il confronto è inevitabile. E se da una parte la beccaccia … per i suoi costumi semisegreti, per le sue abitudini seminotturne, per il brevissimo tempo nel quale essa ci delizia della sua presenza, per le difficoltà che la sua caccia presenta, per la sua rarità, e infine per la squisitezza della sua carne, merita davvero che di essa tanto si interessi chi nella caccia trova il più sublime dei divertimenti, la più forte delle passioni… (Nicola Camusso), dall’altra le tematiche e le sensibilità legate alla caccia a questo migratore contribuiscono senza dubbio alla crescita del mondo venatorio, perché il cacciatore vero è colui che abbatte perché è andato a caccia e non già l’uomo che va a caccia per abbattere (Ortega Y Gasset).
Continuiamo a parlarne quindi, ma con sempre maggiore impegno e facciamolo bene, per contribuire a far sì che attraverso i temi legati alla caccia alla beccaccia la caccia tutta possa trarne giovamento. Le polemiche lasciamole ai nostalgici che, rimpiangendo i tempi andati e che mai potranno tornare, rimarranno isolati in medievali fortezze fatte di tradizioni oramai obsolete e che oggi, spesso, non hanno nemmeno più ragione di esistere. Ogni cosa si evolve, compresa la caccia. E occorre che la caccia cambi con coscienza e che i cacciatori siano i primi ad agire con consapevolezza per questo cambiamento, prima che, gioco forza, saremmo semplicemente costretti a subirlo. L’americano Denis Waitley infatti, uno dei più apprezzati conferenzieri e consulenti per il potenziamento delle prestazioni umane, insegna che nella vita ci sono sempre due scelte: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle.
Viviana Bertocchi, editoriale Beccacce che Passione 3 2018