Come reagisce l’organismo colpito da un proiettile? Dipende. Dipende dalla struttura del proiettile e dalla zone interessata dalla lesione. Non esiste una relazione diretta tra ferita e sopravvivenza del soggetto. Però la scienza fornisce alcuni parametri utili a decifrare efficacia della reazione e i tempi di sopravvivenza dell’aggressore.
I proiettili espansivi sono stati (giustamente) banditi in campo militare dalle Convenzioni dell’Aia che, a cavallo del ventesimo secolo (1899 e 1907) furono convocate dallo zar Nicola II di Russia per discutere i principi del diritto bellico e apportare delle modifiche alla Convenzione di Ginevra del 1864. Il principio che ispira questa limitazione è legato al fatto che le ferite inferte con munizionamento espansivo sono molto difficili da curare sul campo di battaglia e portano alla morte per dissanguamento. Per gli stessi motivi di ordine umanitario i proiettili a espansione sono stati proibiti per scopi di difesa anche in Italia in seguito all’introduzione del d.l. 8 giugno 1992 n. 306 che recepisce le disposizioni di una direttiva europea. Gli stessi possono essere usati in poligono e a caccia in armi lunghe. Alcune incertezze interpretative sono state risolte dal ministero con circolare n. 559/C.11764.10171 (L) del 1992. Ciò premesso, è interessante constatare che con il divieto dell’uso dei proiettili a punta cava si è impedito l’impiego dello strumento più efficace per contrastare il pericolo. La conformazione della palla rende infatti questi proiettili particolarmente efficaci, poco soggetti ai rimbalzi e riduce il rischio della perforazione del bersaglio diminuendo i rischi di incidenti collaterali sul teatro di uno scontro a fuoco. Consci di questo, i legislatori degli Stati Uniti ne consentono e addirittura ne consigliano l’uso per la difesa personale. Infatti le armi corte, generalmente utilizzate a scopi di difesa, sono dotate generalmente di effetti balistici terminali molto meno devastanti rispetto a quelle a canna lunga a causa della velocità del proiettile relativamente bassa, che si attesta su valori quasi mai superiori ai 500 m/s. L’effetto cavitario pulsante si ottiene con velocità d’impatto generalmente superiori e l’eventuale presenza di abiti a protezione del bersaglio ha la capacità di ridurre fino a 100 m/s – a seconda dell’energia posseduta dal proiettile – la sua velocità. Con le pistole si potrà quindi solo fare affidamento sulla cavità permanente causata dal passaggio del proiettile, dalla sua espansione e dalla dissipazione intrasomatica, la capacità di cedere energia. Un proiettile che si deformi all’impatto, assumendo la classica forma a fungo, verrà facilmente fermato dal corpo del bersaglio che assorbirà quindi la totalità dell’energia cinetica; l’effetto shock e quindi il potere d’arresto saranno massimizzati. È evidente che se non si può fare affidamento su questa massiccia cessione di energia favorita dal proiettile espansivo si dovranno seguire altre strade.
Tutto dipende dal “dove”…
Ciò premesso, un’efficace reazione nella malaugurata eventualità di uno scontro a fuoco è fortemente correlata all’area del bersaglio colpita dal proiettile. In assenza di colpi a segno sul sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) o all’apparato scheletrico (in particolare la zona del bacino), solo l’emorragia massiva causata da colpi che attingano il cuore o vasi importanti, causando così un collasso circolatorio, è un sistema sicuro di incapacitazione. È però un sistema che richiede tempo. Si ritiene infatti che il sistema cardiovascolare possa mantenere una pressione sanguigna sufficiente al funzionamento dell’organismo fino a quando nei vasi è presente l’80% del volume di sangue normalmente presente. Si può quindi ritenere che si avrà insorgenza di shock emorragico quando il soggetto avrà perso il 20% del suo sangue. Il dottor Ken Newgard, in un saggio pubblicato nel 1992 sulla Wound ballistic review (The physiological effects of handgun bullets: the mechanism of wounding and incapacitation), ha calcolato il tempo necessario alla perdita del 20% del volume di sangue da parte di un soggetto maschio con peso di circa 70 chilogrammi e una portata cardiaca di circa 5,5 litri al minuto, cui un colpo di arma da fuoco abbia tranciato l’aorta, in almeno 4,6 secondi. Questo calcolo, già elaborato su un’ipotesi sfavorevole per la sopravvivenza del soggetto, non tiene conto dell’ossigeno contenuto nel sangue che già irrora il cervello. Secondo altri studi, all’interno del cervello c’è ossigeno a sufficienza per supportare l’azione pienamente volontaria per 10-15 secondi dopo che non ci sia più circolazione sanguigna. Quindi, anche a essere “ottimisti”, il soggetto con l’aorta recisa potrà continuare per almeno 20 secondi la sua azione. E 20 secondi possono essere molto lunghi.
… e dal “come”
Posto il divieto di uso di cartucce espansive, la prassi ha spinto la tecnologia a enfatizzare la capacità di penetrazione del proiettile così da massimizzare la probabilità di raggiungere organi vitali: è il caso dei proiettili camiciati, utilizzati in guerra così come per la legittima difesa. Il rischio insito in questa scelta è che il proiettile attraversi il bersaglio con un’energia ancora sufficiente a produrne il rimbalzo e ad attingere altri bersagli. Per evitare questo effetto, si preferisce aumentarne la sezione frontale così da favorire la perdita di velocità e massimizzare la cessione di energia; in questo senso sono particolarmente indicati i proiettili tronco-conici, che però possono presentare problematicità in termini di alimentazione dell’arma, e wad cutter, che sfruttano tutto il diametro del calibro ma sono generalmente caricati in munizioni da tiro a bassa velocità e con basse energie dato che devono solo fustellare un bersaglio cartaceo. Quindi inadatti alla difesa. In ogni caso, la scuola americana consiglia la tecnica del double tap, cioè lo sparo quasi simultaneo di 2 colpi per ingaggiare il bersaglio. Solo così crescono le opportunità di incapacitarlo veramente.