L’impronta è fortemente ideologica, ma dal Dataroom di Milena Gabanelli e Francesco Tortora si possono comunque trarre dati interessanti sulla diffusione delle armi in America.
Nato per semplificare la complessità del mondo, il riduzionismo è sempre una brutta bestia: ci cadono anche Milena Gabanelli e Francesco Tortora nell’articolo che il Corriere della Sera dedica alla diffusione delle armi in America dopo la strage di Uvalde. Si vuole dimostrare una tesi (fallace, l’ha provato l’Assoarmieri negli scorsi giorni), che dove circolano più armi si registrano più morti violente; e il lessico utilizzato (“statistiche inquietanti”, l’Ar-15 come “arma micidiale”) è in linea. “In nessun Paese occidentale è permessa la proliferazione di una così vasta gamma di armi per difesa personale” scrivono Gabanelli e Tortora mischiando concettualmente le armi da difesa con le altre, comprese quelle d’assalto; “e in nessun Paese occidentale si è verificata una carneficina comparabile”.
Dal Dataroom si possono però comunque trarre alcune informazioni utili, se considerate senza pregiudizi. Nel 2020 negli Stati Uniti sono stati prodotti 11,3 milioni di armi, cui aggiungere 6,3 milioni di armi importate; tra i 330 milioni di cittadini americani sono diffusi 393,3 milioni di armi; tre adulti su dieci hanno una pistola; i possessori di armi sono principalmente maschi e bianchi (36%, contro il 24% di afroamericani e 15% ispanici). In media negli Stati Uniti ci sono 120,5 armi ogni 100 abitanti, contro le 20 scarse di Francia e Germania; nella classifica dei Paesi con il più alto numero di armi ogni 100 abitanti li seguono Yemen (52,8), Serbia (39,1), Montenegro (39,1), Uruguay (34,7), Canada (34,7), Cipro (34), Finlandia (32,4), Libano (31,9) e Islanda (31,7).
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