La Cassazione chiarisce che soltanto il Banco nazionale di prova può decidere se si tratti di armi comuni o armi da guerra.
Spetta soltanto al Banco nazionale di prova stabilire se un modello del quale è stata richiesta la classificazione sia da catalogare tra le armi comuni o le armi da guerra; e la sua valutazione «ha valore vincolante in negativo per il giudice, che non può disattenderne il contenuto». Lo ha chiarito la prima sezione penale della Cassazione (sentenza 31595/2022; udienza del 9 giugno, motivazioni depositate mercoledì scorso) annullando con rinvio una sentenza della Corte d’appello di Trieste.
La parte principale del ricorso ruotava intorno alla qualifica di tre caricatori detenuti illegalmente, considerati come parte d’arma; per la Cassazione «è dirimente il rilievo per cui il Banco nazionale di prova ha classificato le armi di riferimento come armi comuni da sparo».
È peraltro curioso il motivo per cui in un’altra parte della sentenza si ritengono non da guerra le munizioni calibro 9×19 parabellum. Non c’è infatti alcun riferimento alla modifica legislativa che da inizio 2022 ne consente l’impiego civile in armi corte; la Cassazione scrive che «la consolidata giurisprudenza ritiene qualificabile come arma comune da sparo la pistola semiautomatica Beretta calibro 9×19 parabellum, con il corrispondente munizionamento, a fronte della pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo della pistola semiautomatica calibro 9×21, liberamente commerciabile sul mercato interno; [questa] costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di capacità balistiche pressoché identiche a quelle del modello 9×19» evidentemente non da guerra. Per fortuna da ora in avanti i problemi sul 9×19 dovrebbero andare a esaurirsi.
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