Sembra che le parole chiave, quando si parla di caccia oggi, siano “cultura” e “comunicazione”.
Ogni dichiarazione, ogni commento, ogni articolo (pure questo, starete pensando…), ogni comunicato stampa siglato dalle più svariate firme di sodalizi e associazioni venatorie o contrassegnato da una qualsiasi bandiera politica, dedica almeno un paio di righe alla necessità, oggi più che mai, di comunicare correttamente la caccia e di far crescere culturalmente il mondo venatorio, così da essere attrezzato per condividere gli spazi all’interno di una società che, ci si auspica, sarà sempre meno ostile rispetto a una caccia sostenibile.
In effetti, sono due nodi fondamentali su cui impostare un confronto e un dibattito sulla caccia del terzo millennio.
Guardando però i fatti, mi sono fatta l’idea che spesso si tratta sì di belle parole, ma vuote e sovente autoreferenziate; e mi sono convinta che l’obiettivo di chi parla di caccia sia una strenua ricerca di consensi da parte dei cacciatori, ritenendo, però, che questi consensi arrivino soltanto se – al di là delle parole politicamente corrette – alla fine si solleticano i pruriti della parte più retrograda del mondo venatorio.
In pratica si parla bene, ma si razzola male. Perché le parole non sono azioni e per trasformarsi in fatti concreti bisogna poi che chi le pronuncia assomigli alle stesse parole che dice.
Così osservo e più che altro leggo. E ho letto, per fare un esempio, il comunicato stampa in cui venivano riportati gli interventi dei consiglieri regionali Rolfi e Sala in merito all’approvazione degli emendamenti alla legge di semplificazione di Regione Lombardia, che introducono nuove norme per la caccia.
“La prima norma – spiegano Rolfi e Sala – introduce criteri per la nomina dei rappresentanti nei comprensori di caccia, stabilendo che deve valere il principio della proporzionalità dei soci, prevedendo anche che un’associazione non possa avere più di due rappresentanti sui tre previsti per l’ambito. È un provvedimento che pone regole precise per le nomine, salvaguardando e valorizzando il radicamento sul territorio della singola associazione.
“La seconda norma importante – proseguono i consiglieri regionali – introduce un pacchetto di dieci giornate di caccia alla migratoria, anche con appostamento temporaneo, che i cacciatori potranno fare al di fuori della propria provincia. Si tratta di una misura di semplificazione, che riconosce il diritto alla mobilità venatoria, con alcuni limiti, ma che comunque rappresenta una novità molto attesa, soprattutto nelle province a più alta densità di cacciatori, che quindi potranno usare alcune giornate di caccia fuori dal proprio territorio.
“Abbiamo poi introdotto una semplificazione delle norme sull’addestramento dei cani, prevedendo che il ritiro del tesserino per violazione delle disposizioni valga soltanto in caso di recidiva. Norme più leggere quindi, che hanno come obiettivo quello di favorire la passione venatoria”.
Se l’italiano non è un’opinione (e ho riportato il testo esatto del comunicato stampa) per i consiglieri regionali la passione venatoria viene favorita… favorendo i trasgressori della legge. In effetti è un upgrade culturale “interessante”…
Ma i politici fanno politica e allora mi domando: con queste affermazioni si assicurano davvero i consensi dei cacciatori? E quindi, mi domando ancora, da chi allora sono composte le fila dei cacciatori italiani? Da quelle persone con la fedina penale immacolata che tanto viene sbandierata dai rappresentanti delle associazioni venatorie che fanno comparsate in Tv o da persone che si fregano le mani se hanno una possibilità di “fregare” le regole? Perché, a mio avviso, in una società civile le regole, le leggi, vanno rispettate, anche quelle che non piacciono. Compito dei politici è assicurarsi della validità delle stesse e se sono migliorabili o scorrette, è sempre compito dei politici lavorare perché vengano radicalmente modificate, senza cercare escamotage per aggirare l’ostacolo.
Quando mi trovo a parlare di caccia con persone che non fanno parte di questo mondo vorrei poter essere ragionevolmente certa che le mie parole non siano vuote, ma che a queste corrispondano fatti, azioni, verità. Perché io credo davvero che la caccia sia uno dei capitoli del capiente volume che racchiude norme, regole, modus operandi che vanno a formare una corretta cultura ambientale, che ritengo manchi nel nostro Paese; e non solo nelle aree urbane.
Allora, piuttosto che politici che brandiscono slogan ad effetto del tipo (per citarne uno che mi è recentemente comparso sott’occhio) “fauna selvatica in aumento, serve insegnare la caccia già a partire dalle scuole”, penso sarebbe più efficace che la politica portasse avanti un’azione seria e concreta, anche se meno d’impatto mediatico, a favore di una corretta cultura ambientale a tutto tondo.
Che cosa vuol dire insegnare la caccia nelle scuole? Come si traduce nei fatti? In niente, sono parole vuote. L’educazione ambientale, invece, si può e si deve insegnare e una corretta formazione in questo senso avrà come conseguenza anche una doverosa tolleranza da parte della società civile per un’attività venatoria sostenibile ed esercitata nel rispetto le regole. Starà poi al singolo scegliere se praticarla o no, secondo la propria naturale inclinazione.
Segnalo a questo proposito il libro di recente pubblicazione da parte di Editoriale Scienza, Storie bestiali. Vite, amori e curiosità dal mondo animale, dello zoologo Papik Genovesi e di Sandro Natalini. E’ una lettura dedicata ai bambini che, attraverso le pagine composte da testi corretti dal punto di vista scientifico e da bellissime e simpatiche illustrazioni, possono scoprire i sorprendenti comportamenti degli animali del nostro pianeta. “Storie bestiali” che raccontano come fanno le diverse specie a trovare da mangiare, sfuggire ai predatori, scegliere un compagno, mettere al sicuro i propri piccoli, comunicare tra loro… ognuna a proprio modo e in un contesto ambientale che va preservato per garantire la sopravvivenza di tutte le creature e gli organismi che vivono sulla Terra. Una lettura divertente, ma di grande valore didattico, che potrebbe essere adottata come testo scolastico per i più piccoli, per avviarli verso un approccio scientifico e laico al mondo della natura. Età di lettura: da otto anni. Eppure io l’ho trovato comunque divertente e curioso, e forse anche altri adulti avrebbero bisogno di rinfrescare le proprie conoscenze naturalistiche, per ristabilire quel rapporto sano con la natura che, se da una parte il progresso ha pesantemente minato con un’ideologia animalista radicale ed estrema, dall’altra non è stato aiutato da un supporto culturale adeguato, che sovente ha nascosto dietro l’abusata parola “tradizione” pratiche obsolete e oggi ingiustificabili per un corretto uso del territorio e della fauna selvatica che ospita.
La caccia, come la intendo io, non è tra queste pratiche. Lo affermo mettendoci la faccia oltre alle parole. Se queste non saranno parole vuote, ovvero se l’attività venatoria sostenibile fa davvero parte di una corretta e laica cultura ambientale, dipende, però, soprattutto da quanti sono della mia stessa idea.
D’altronde in democrazia la maggioranza vince. E’ la regola…