Il Tar del Lazio ha definitivamente respinto il ricorso di un cittadino che trae origine da fatti di 27 anni fa.
Rifiutarsi di declinare le proprie generalità a una guardia venatoria volontaria è motivo sufficiente per perdere il porto d’armi. Il Tar del Lazio prova a mettere un punto definitivo su una questione aperta addirittura nel 1990. E la giustizia amministrativa conferma la posizione del Ministero dell’Interno, nell’attesa di un eventuale ultimo ricorso al Consiglio di Stato. Ma la strada è stata tracciata. Con il primo divieto del 1990, il respingimento dell’istanza di revoca del 2007 e adesso il ricorso al Tar.
Lo screzio con la guardia venatoria volontaria aveva determinato anche l’apertura di un procedimento penale, chiuso nel 1998 con la condanna a sei mesi di reclusione e 200.000 lire di multa. Per il Tar non conta che la sentenza sia arrivata “su richiesta delle parti” e che “a seguito del decorso di cinque anni senza la commissione di ulteriori delitti il reato si sia estinto”. Il Tar del Lazio ritiene la storia complessiva “idonea a fondare il giudizio di inaffidabilità per la detenzione e l’utilizzo delle armi, tenuto conto che la tipologia dei reati contestati depone per un giudizio prognostico negativo sull’affidabilità della condotta” dell’uomo.