Il Tar del Lazio ha respinto l’ennesimo ricorso di un cittadino che si era visto negare il porto d’armi dalla questura.
Fu accusato del furto di ricette mediche in bianco. E poi fu assolto. Ma, a distanza di undici anni dal ricorso, il Tar del Lazio gli ha negato il porto d’armi. Chiudendo così, con un amaro respingimento, il capitolo segnato dall’opposizione di un cittadino romano contro la decisione della questura.
Il tribunale amministrativo ritiene che il giudizio sulla concessione del porto d’armi possa “essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute”.
In questi giorni il Tar del Lazio ha inanellato una serie di sentenze (cinque nelle ultime due settimane, tre nello spazio di poche ore) che mettono in chiaro ancora una volta quanto debba essere immacolato chiunque voglia richiedere con fiducia il porto d’armi. E bastano degli indizi, come si desume dalla citazione riportata, per vedersi sbattere la porta in faccia.
L’assoluzione sancisce “l’insussistenza del reato”; ma, vale la pena leggerlo per intero, “non anche l’assenza di elementi suscettibili di sfiducia nei confronti di chi opera in situazioni da cui originano sospetti di illecito”.