Il Tar della Liguria ha dato ragione a un gioielliere di Imperia: un procedimento penale in corso per ricettazione non dice niente di negativo sulla sua affidabilità.
I pericoli che la gestione di una gioielleria comporta per l’incolumità personale pesano di più di un procedimento penale per ricettazione. Almeno se si parla di concessione di porto d’armi. E specialmente se, come nel fatto su cui si è espresso in giornata il Tar della Liguria, il processo ha portato a una condanna soltanto in primo grado. Così la giustizia amministrativa ha deciso di restituire il porto d’armi al gioielliere di Imperia che ne era titolare dal 1989. Salvo poi incappare nel diniego del prefetto dopo l’avvio del processo.
La prefettura riteneva che la presunta ricettazione “fosse sintomatica dell’incapacità di offrire sufficienti garanzie di non abusare delle armi”. Ma il fatto contestato, “il commercio di monili che, pur regolarmente acquistati, sarebbero frutto di reato” perché “imitazioni di quelli contraddistinti dal marchio Pomellato”, non dice niente sulla presunta inaffidabilità del soggetto. Non è un fatto violento né l’indizio di un potenziale abuso delle armi. Che è un po’ come sottolineare che talvolta ci sia troppa sollecitudine quando si tratta di dire di no.