Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso di un cittadino che chiedeva il rilascio del porto d’armi per uso sportivo. Pesa l’accertato uso di droghe svariati decenni fa.
Per quelle strane circostanze della sorte, nel giro di pochi giorni il Tar del Lazio si è trovato a pronunciarsi per due volte sulla concessione del porto d’armi a soggetti coinvolti in qualche modo nel mondo degli stupefacenti. E ha reiterato sempre il medesimo principio ispiratore. La detenzione e l’uso di droghe non sono compatibili con la licenza. Anche se sono avvenuti in un passato remoto. Più di trenta anni fa, come nel caso trattato con la sentenza 6760.
Gli eventi si mettono in moto nel 2007. Un cittadino romano chiede il rilascio del porto d’armi per uso sportivo. Negato dalla questura. Il motivo? Nel 1983 fu condannato per aver violato la normativa sugli stupefacenti allora in vigore e si sottopose a riabilitazione presso una comunità terapeutica. Vi dimorò per circa due anni, “completando il progetto di disintossicazione”. Nel 1992 fu fermato per il medesimo reato, ma rilasciato immediatamente.
Nel ricorso presentato dagli avvocati si legge che “tra gli elementi ostativi al rilascio del porto d’armi [si individua] l’assunzione anche occasionale di stupefacenti. Ma, nel caso di specie, tale assunzione risaliva a oltre venti anni addietro e non vi era nessuna traccia di consumo attuale”. Ma la risposta del Tar è una scure sulle speranze del ricorrente: “la condizione di tossicodipendenza accertata, seppure in passato, non consente di qualificare l’episodio come riconducibile a un fatto occasionale avvenuto nel passato”. Non è da escludere un ricorso al Consiglio di Stato, ma la filosofia che ispira le decisioni è ormai chiarissima.