Nel 1994 aveva subito due condanne per reati non violenti, il Tar ci ha messo dieci anni per dargli ragione contro la questura.
Una condanna per concorso in abuso d’ufficio ricevuta nel 1994 non basta per negare il porto di fucile uso caccia. Né basta la condanna per falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale. Ma anche in questo caso ci sono voluti dieci anni per ottenere una sentenza. Almeno stavolta favorevole al ricorrente. Sono ormai settimane che gli archivi dei Tar e del Consiglio di Stato si stanno riempiendo di decisioni su creativi dinieghi del porto d’armi.
Stavolta a ricorrere nel lontano 2007 era stato un cittadino del Lazio a cui la questura aveva negato il porto d’armi per due reati non violenti commessi nei primi anni Novanta. Ma, ha deciso il Tar del Lazio, questi reati non incidono “minimamente sull’affidabilità nell’uso dell’arma e non costituiscono indice di pericolosità sociale dello stesso”. Quindi dopo dieci anni arriva il pollice su al rilascio del porto di fucile uso caccia. Se l’uomo avrà ancora voglia di sparare.