“D’ora in poi girerò armato”. È il concetto forte espresso dal magistrato Angelo Mascolo in una lettera aperta ai quotidiani veneti del gruppo Finegil.
“Se fossi stato armato, come è mio diritto e come sarò d’ora in poi, che sarebbe successo se, senza l’intervento dei Carabinieri, le due facce proibite a bordo della Bmw mi avessero fermato e aggredito, come chiaramente volevano fare?”. È il passaggio chiave di una lettera aperta inviata dal giudice Angelo Mascolo ai quotidiani del gruppo Finegil.
E così la storia della discussione sulla legittima difesa si arricchisce di un altro capitolo. Pesante, perché vede coinvolto un magistrato. E pesante soprattutto per i concetti espressi dal magistrato. Perché l’evento non ha a che fare con la vita da tribunale (un litigio stradale culminato con un inseguimento). Ma riguarda evidentemente chi è chiamato ad applicare e a volte anche interpretare la legge. E ne conosce i risvolti e le dinamiche. “Se avessi sparato, avrei subito l’iradiddio dei processi – eccesso di difesa, la vita umana è sacra e via discorrendo- da parte di miei colleghi che giudicano a freddo. E difficilmente, ed è qui il grave errore, tenendo conto dei gravissimi stress di certi momenti”.
Mascolo ritiene il problema della legittima difesa come “un problema di secondo grado, come quello di asciugare l’acqua quando si rompono le tubature. Il vero problema sono le tubature”. Il magistrato trevigiano sostiene infatti che lo Stato abbia “perso completamente e totalmente il controllo del territorio”.
Secondo il giudice il comportamento nei confronti dei delinquenti “è diventato disdicevole, tante sono le leggi e le leggine che provvedono a tutelarli per il processo e per la detenzione”.
E se anche un magistrato, ossia il volto anonimo della legge, decide che per difendersi deve armarsi, il messaggio sembra abbastanza evidente.