Il Consiglio di Stato ha chiarito che se non causa danni permanenti una patologia temporanea (agli occhi, in questo caso) non può essere sufficiente a giustificare la revoca del porto d’armi.
Al massimo la sospensione, di sicuro non la revoca della licenza di porto d’armi né il divieto di detenzione: anche se incide sulla vista provocando «un’inidoneità temporanea», per quanto assoluta, una patologia da cui si guarisce non può essere sufficiente a giustificare provvedimenti pesanti – tanto più se chi li subisce è, come nel caso d’una guardia giurata, una persona che utilizza le armi per lavorare, e dunque per ricavare il reddito necessario a sopravvivere.
Lo ha deciso la terza sezione del Consiglio di Stato (sentenza 7478/2023) respingendo il ricorso della prefettura di Modena contro la sentenza del Tar dell’Emilia Romagna che nel 2017 aveva dato ragione alla professionista; preso atto del decorso favorevole, «l’amministrazione avrebbe dovuto avvedersi del carattere reversibile della malattia» e del pieno recupero delle capacità visive.
Già il Tar aveva chiarito che non erano legittimi né la revoca della licenza (sarebbe stata sufficiente la sospensione) né il divieto di detenzione; «la momentanea patologia della vista non avrebbe infatti pregiudicato la capacità di custodire l’arma presso l’abitazione».
La vicenda era cominciata quando dopo la diagnosi della malattia l’Ausl aveva espresso «seri dubbi sull’utilizzo delle armi in condizioni di sicurezza»; per tre mesi, poi diventati sei, la donna non sarebbe stata in grado di usarle, né di guidare veicoli o di lavorare di notte.
Ma la diagnosi risale al 2015. I magistrati del Consiglio di Stato hanno dunque prima voluto sapere dai medici militari se fossero state compromesse le funzionalità della vista o se al contrario il decorso favorevole della malattia si fosse accompagnato a un recupero pieno; e rassicurati sul piano clinico hanno dato torto alla prefettura.
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