L’analisi di una pistola piuttosto compatta, la Sig Sauer P225: ha venduto bene nel mercato interno, meno in quello estero, ed è un vero peccato. Vediamola più da vicino
Tra la fine del ’74 e l’inizio del ’75 la nuova azienda Sig Sauer esce con una nuova (per forza) pistola militare, la P220, classica full size con canna da 112 mm in 9 mm e a doppia azione, che viene adottata dall’esercito elvetico. È ancora monofilare (all’epoca si usava così, ma arriverà presto la P226 a colmare la lacuna), è molto precisa e straordinariamente affidabile. I sistemi di sicurezza sono molto semplici e ben studiati: mezza monta al cane a rimbalzo, sicura automatica al percussore e un’affidabilissima leva di disarmo del cane. Verso la fine degli anni ’70, la Polizia tedesca decide di adottare una nuova pistola, e Sig Sauer ci si butta a pesce. Nasce così la P225, basata sulla P220 ma rimpicciolita nelle dimensioni: canna da 97 mm che fanno risparmiare 18 mm di lunghezza totale e un’altezza complessiva di 131 mm contro i 143 mm della 220 (che si pagano però con un colpo in meno nel caricatore). Per la portabilità, la parte terminale dell’impugnatura ha questa volta un profilo arrotondato invece che squadrato. Altra differenza importante rispetto al modello capostipite è lo sgancio del caricatore alla base del ponticello anziché a quello dell’impugnatura, tanto cara alla tradizione tedesca. Il resto dell’impostazione meccanica è inalterato, con i suoi pregi e difetti: sistema di chiusura Sig Petter ultra affidabile, ma che tiene la linea della canna un poco alta, accentuando così il rilevamento in fase di sparo. Chi è innamorato di questo sistema però se ne fa una ragione: l’affidabilità di questo sistema è veramente proverbiale, e la sicurezza di riuscire a esplodere il colpo successivo (pur perdendo qualche frazione di secondo) fa dimenticare tutto il resto.
Ma non c’è solo questo: l’arma è di una precisione impressionante (grazie all’eccellente realizzazione e al cono di centraggio nell’ultima porzione di canna, anche se quest’ultima mi risulta caratteristica esclusiva di quelle in .30 Luger), i comandi sono accessibili comodamente e il caricatore (grazie alla perfetta sagomatura dell’impugnatura) non si sgancia mai accidentalmente; l’ergonomia in generale è eccellente: la pistola sembra cucita in mano, e questa è un’impressione che hanno tutti quelli che la tengono in pugno, a prescindere dalle dimensioni dello stesso. Lo smontaggio della Sig Sauer P225 è semplice e intuitivo, un poco dura la molla di recupero di trefolo intrecciato, e bisogna porre una certa attenzione quando la si smonta a non farsela scappare.
Tiriamo le somme
Una delle pistole semiautomatiche preferite da chi scrive, peccato che non abbia avuto il meritato successo in ambito commerciale, anche se l’azienda si è poi rifatta con gli interessi grazie ai modelli successivi. Certamente la buona reputazione che hanno guadagnato, se la sono costruiti anche grazie a questa pistola.
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Sig Sauer
L’elvetica Sig è nel campo armiero dalla metà del XIX secolo, e ha prodotto armi da tiro e militari caratterizzate da elevatissima qualità. Nel 1971 acquisisce la storica fabbrica tedesca Sauer & Son, così nel 1974 nasce ufficialmente la Sig Sauer, nata con l’obiettivo di competere nell’affollata e agguerrita arena delle armi militari, sia lunghe sia corte.
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L’erede: la P228
La Sig Sauer P225 è stata soppiantata dalla P228, molto simile negli ingombri generali, ma dotata di caricatore bifilare. Anche questa è un’arma realizzata impeccabilmente, ma non ne ho mai vista una sparare bene come una P225.
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Il 7,65 Parabellum, o .30 Luger
Cartuccia presentata nel 1900 dalla Dwm per la pistola Luger (da cui la definizione anglofona); il diametro del fondello è lo stesso del 9×19 (che porta lo stesso nome): ha infatti un bossolo marcatamente a bottiglia, e basa tutta la sua efficacia (non molta per la difesa personale, almeno con palle incamiciate) sulla velocità del suo leggero proiettile. Il 9 mm l’ha violentemente spodestato, ma il 7,65 ha avuto una discreta longevità nel nostro Paese per l’insensato divieto che affliggeva il calibro di maggior diametro. Sia per questioni intrinseche, sia per le reazioni allo sparo più morbide, rimane un calibro di una precisione incredibile. Il suo nome deriva dall’antico motto latino “si vis pacem, para bellum” ovvero: se vuoi la pace, prepara la guerra.