A Canicattì il Tar ha accolto il ricorso di un 30enne cui era stato negata la licenza di porto d’armi per tiro a volo perché nonno e padre erano stati coinvolti nell’inchiesta “Alta mafia”.
Un trentenne di Canicattì aveva presentato la richiesta per ottenere la licenza di porto di fucile per tiro a volo (uso sportivo), ma la questura di Caltanissetta gli aveva negato il documento perché padre e nonno, oggi entrambi deceduti, erano stati coinvolti nell’inchiesta “Alta mafia” e condannati in primo grado per l’accusa di associazione mafiosa (il padre in appello è stato poi assolto). Motivazione: “persona controindicata”.
Nessuna influenza
Il trentenne ha presentato ricorso al Tar. I difensori – gli avvocati Paolo Ingrao e Luigi Fazio Gelata – hanno giustificato il ricorso scrivendo: “Uno è stato assolto in appello dall’accusa di associazione mafiosa e l’altro è morto da nove anni non potendo esercitare alcuna influenza su di lui”.
Infatti, nel frattempo, era stata emessa la sentenza di assoluzione nei confronti del padre; quanto al nonno, morto da oltre dieci anni, non aveva mai convissuto con il nipote: dunque, non poteva in alcun modo avere influito negativamente su di lui.
Il Tar ha così accolto la richiesta dei difensori di ottenere il porto d’armi. “La mera sussistenza di un rapporto di parentela o d’affinità con un soggetto pregiudicato ma non convivente non è, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, indice di una capacità di abuso delle armi“.
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