Se si vogliono evitare l’incauta custodia, l’omessa denuncia e il ritiro della licenza, il trasferimento di armi deve sempre essere comunicato.
Anche se solo temporaneo e limitato a un intervento di manutenzione, il trasferimento di armi a qualsiasi altra persona – figlio non convivente compreso – dev’essere comunicato alle autorità; in caso contrario una parte si rende colpevole della violazione dei doveri di custodia e l’altra di omessa denuncia. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato (sentenza 5023/2022) accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno e ribaltando la sentenza del Tar del Lazio.
Nel ritirare le armi di una persona arrestata perché ritenevano avesse utilizzato dell’esplosivo per danneggiare l’autovettura dell’ex convivente, i carabinieri si erano accorti che nell’abitazione c’erano anche due fucili di proprietà del padre “denunciati in altro indirizzo”; il figlio si era visto accusare anche di omessa denuncia, il padre ritirare il porto d’armi per incauta custodia. Il Tar aveva annullato il provvedimento che però la sentenza riporta in vita: “il solo fatto” si legge “che abbia consegnato le armi ad altri, sia pure al figlio, costituisce un grave abuso”; non si è infatti rispettato quanto prevede la normativa di settore.
Il legame di parentela non fa venir meno l’obbligo di denuncia. “Il trasferimento a familiari o parenti non conviventi comporta comunque la perdita del possesso dell’arma”; coinvolge quindi “la responsabilità personale assunta dal proprietario [relativamente] all’onere di diligente custodia delle armi”.
Si registra un abuso quando il titolare della licenza custodisce le proprie armi con modalità inadeguate, che consentono ad altri di utilizzarle; questo principio, “affermato [in passato] per i casi in cui vi è una dimenticanza o una negligenza, va ribadito per il caso estremamente più grave in cui l’arma sia stata volontariamente consegnata ad altri”.
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