Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di un cacciatore romano al quale la questura aveva negato il rinnovo del porto d’armi perché aveva in casa, non denunciate, le armi di un defunto.
La licenza può essere salvata se si riesce a dimostrare che le armi di un defunto rimaste in casa non sono state denunciate perché non se ne sapeva niente. È quanto emerge dalla sentenza 9247/2019 del Tar del Lazio che ha pubblicato le motivazioni negli scorsi giorni.
La storia. Muore una persona in possesso di alcuni fucili di cui neppure i familiari erano a conoscenza. Dopo circa un anno inizia una relazione tra la figlia e un cacciatore che si trasferisce nell’abitazione del defunto. Nel corso di un sopralluogo “volto ad accertare l’effettiva residenza”, saltano fuori le armi non denunciate. La questura nega al cacciatore il rinnovo del porto d’armi per incauta custodia e omessa denuncia. Ma il Tar del Lazio ribalta il verdetto. Nonostante il decreto penale di condanna, il cacciatore “non era a conoscenza di queste armi, non di sua proprietà né tantomeno ereditate”. Lo dimostra la semplice analisi cronologia degli eventi.