La Cassazione ha respinto il ricorso di un cacciatore umbro accusato di incauta custodia di armi. Il genero si era tolto la vita con uno dei suoi fucili.
Non basta ostacolare i possibili furti perché la custodia di armi possa dirsi adeguata. La legge prevede infatti che le armi debbano essere inaccessibili anche a coloro che frequentano l’abitazione, familiari del detentore compresi. Lo ha ribadito la prima sezione penale della Cassazione respingendo il ricorso di un cacciatore umbro accusato di violazione del Tulps. Il genero, che viveva nell’abitazione da qualche anno, era infatti entrato in possesso “con estrema facilità” del fucile semiautomatico Breda calibro 12 e si era tolto la vita. In vista dell’uscita di caccia del giorno dopo, l’uomo aveva lasciato l’arma e due scatole di munizioni “in una cassapanca priva di chiusura”.
Non si può parlare di adeguata custodia anche se l’abitazione era recintata, chiusi cancello e portone. L’articolo 20 della legge 110/75 impone infatti “di adottare, oggettivamente, ogni tipo di misura idonea a evitare che qualunque persona, diversa da colui che ha dichiarato la detenzione delle armi o delle munizioni, possa entrarne in possesso indipendentemente dalla sua volontà”.