C’è una spiegazione alternativa alla presenza di un bossolo proveniente dalla sua arma d’ordinanza sulla scena dell’omicidio di Daniel Androne.
Non è stato possibile dimostrare che a sparare sia stato davvero l’appuntato processato per una decina di anni. Ecco perché la Cassazione ha assolto – formalmente si parla di annullamento senza rinvio della condanna a quattordici anni – il carabiniere dall’accusa di omicidio di Daniel Androne, morto la notte tra il 5 e il 6 luglio 2006 mentre, insieme a dei complici, stava rubando delle casse di vino dall’azienda vinicola Femar, a Monte Porzio Catone (Roma). Le motivazioni della sentenza sono state pubblicate il 23 novembre. E vi si legge che esiste un’altra spiegazione al ritrovamento di un bossolo della pistola d’ordinanza dell’appuntato sulla scena dell’omicidio: è improbabile, ma non impossibile, che sia stato smarrito nel corso di un precedente sopralluogo, visto che il carabiniere aveva l’abitudine di portare con sé bossoli esplosi nel corso delle esercitazioni.
E, considerata l’impossibilità di identificare chiaramente l’autore dello sparo, non c’è neppure bisogno di analizzare il portato dell’articolo 53 del codice penale. La norma prevede infatti la non punibilità del pubblico ufficiale che, “al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso […] delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità o di impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio, sommersione, disastro aviario, omicidio volontario, rapina a amano armata e sequestro di persona”. A differenza di quanto valutato nei precedenti gradi di giudizio, la sentenza della Cassazione si ferma ancora prima: “la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per insussistenza del fatto contestato”.