Non è motivata la decisione del questore che aveva revocato il porto d’armi uso caccia a un cittadino trentino, condannato a una multa di 3.800 euro per il tentato furto di generi alimentari dal valore di una cinquantina d’euro.
“Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”. Chissà se sono appassionati di De André i magistrati del Tar di Trento che hanno accolto il ricorso di un cittadino al quale il questore aveva revocato la licenza di porto d’armi uso caccia dopo la condanna a 3.800 euro di multa “per il reato di tentato furto di generi alimentari (sette confezioni di carne e tre confezioni di burro per un valore complessivo di 55,62 euro) all’interno di un supermercato, reato aggravato dall’esposizione dei prodotti alla pubblica fede”.
La giustizia amministrativa ritiene che il reato addebitato non appaia “di per sé significativo del pericolo di abuso delle armi”; anche perché non è stato commesso facendo uso delle armi e si è configurato come un episodio singolo, per di più “di particolare tenuità”. È ancora una volta l’applicazione della circolare rilasciata dal ministero il 5 settembre: se la pena detentiva è convertita in pena pecuniaria, non esiste automatismo nel diniego del porto d’armi.