Un ipotetico conflitto familiare non può portare al ritiro delle armi di chi è nelle forze dell’ordine. Sembrerebbe scontato, ma sono servite due sentenze del Tar di Catania per ribadirlo.
Due sentenze praticamente identiche, o quantomeno molto simili a distanza di poche ore. Entrambe del Tar di Catania. Stavolta favorevoli a chi ha titolo per detenere un’arma ma ne viene privato da una decisione degli uffici periferici dell’Interno. E tanto più pesanti perché emesse nei confronti di due esponenti delle forze dell’ordine, in precedenza privati dell’arma per conflitti familiari.
Niente obbligo di lasciare l’arma a fine turno
La prima decisione, resa pubblica l’ultimo giorno di luglio, ha a che fare con la storia di un agente di polizia penitenziaria. Al quale era stato intimato di depositare la pistola d’ordinanza presso l’armeria della caserma ogni volta che finiva un turno. A seguito di denunzia-querela sporta dalla moglie allora convivente “per i presunti reati di maltrattamenti contro familiari conviventi, minacce gravi e ingiurie”, la prefettura di Enna aveva emesso un verbale di ritiro di armi e munizioni. Ma nella richiesta di archiviazione del procedimento penale la procura aveva ritenuto infondata la notizia di reato: già in sede di querela, la moglie aveva riferito di non avere mai subito “alcuna aggressione fisica o verbale, né tantomeno alcuna minaccia verbale” da parte del marito. Aveva precisato che “gli episodi di conflittualità emersi con il coniuge si erano sempre e soltanto tradotti in meri litigi verbali”; e, una volta lasciato il tetto coniugale, “gli episodi di presunto maltrattamento non avevano avuto alcun seguito”.
Il Tar ha stabilito pertanto che la decisione di far lasciare la pistola di ordinanza presso l’armeria alla fine di ogni turno era “esito di una non completa e non puntuale istruttoria”.
Armi d’ordinanza e armi comuni
Il secondo caso, il cui finale è stato reso noto solo nella mattinata di stamani, coinvolge un maresciallo dei Carabinieri che aveva impugnato il decreto di divieto di detenzione di armi comuni emesso dalla prefettura di Siracusa. Il motivo? Sempre lo stesso: una “situazione di grave conflittualità familiare segnalata dalle forze dell’ordine a seguito di un intervento presso l’abitazione dell’ex moglie”. La donna non ha mai sporto denuncia, ma si è “limitata a dichiarare di essere stata minacciata dall’ex marito con una pistola. Tuttavia – si obietta – tale circostanza sarebbe smentita dalla relazione del personale intervenuto sul luogo, nella quale si dichiara che la pistola di ordinanza era custodita presso l’ufficio di servizio del ricorrente e che gli operatori intervenuti hanno proceduto solo al sequestro cautelativo di due fucili legittimamente detenuti”. Ma la detenzione di armi comuni “non può costituire motivo di aggravamento dei timori dell’ex coniuge”, visto che il maresciallo è già in legittimo possesso dell’arma d’ordinanza. E l’affermazione di una ex moglie non può essere motivo sufficiente per giungere a un divieto di detenzione di armi comuni.